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Revista Uruguaya de Antropología y Etnografía

versión impresa ISSN 2393-7068versión On-line ISSN 2393-6886

Rev. urug. Antropología y Etnografía vol.4 no.1 Montevideo jun. 2019

https://doi.org/10.29112/ruae.v4.n1.6 

Dossier

ANTROPOLOGIA PRESENTE, ATTUALE

1 La Sapienza, Roma. alberto.sobrero@uniroma1.it


Si è tenuto a Cremona (Lombardia) nei giorni 8-10 novembre 2018 il I° Convegno della Società Italiana di Antropologia Culturale (SIAC, Presidente Prof. Ferdinando Mirizzi, Segretario Generale Prof.ssa Rosa Parisi), associazione nata dalla fusione delle due precedenti società, AISEA e ANUAC. Il momento non facile della vita culturale e politica del nostro paese e il continuo ripetersi di episodi di discriminazione e intolleranza verso gli immigrati, hanno suggerito di dedicare il Convegno al tema “Razza, Razzismi e discriminazione razziale”.

Il problema non è certo solo italiano. I recenti flussi migratori, effetto incrociato del processo di globalizzazione e del peggioramento climatico di vaste zone del pianeta, ha riguardato negli ultimi anni molti paesi europei. A differenza dell’Inghilterra, della Francia e degli stessi paesi iberici, l’Italia non aveva, però, mai avuto sul proprio territorio un incontro reale e diffuso con altre culture, con altri modi di pensare e altre religioni che non fossero quella cattolica romana. Oggi si può stimare che la presenza di immigrati in Italia abbia raggiunto una percentuale di circa il 9% della popolazione, pari a cinque milioni e mezzo, di cui probabilmente cinquecento mila irregolari (non in possesso di titolo di soggiorno e non registrati in alcun modo). Interi settori dell’economia (in particolare l’agricoltura, alcuni settori dell’industria settentrionale, alcune attività commerciali, sarebbero oggi impossibili senza la mano d’opera straniera. Fra gli immigrati regolari il tasso di occupazione raggiunge il 40%-45%% (2milioni e trecento mila), con un contributo fiscale di circa sette miliardi di euro. Ma il fenomeno migratorio è stato per l’Italia relativamente rapido, con il risultato di una cattiva gestione politica, scarsa integrazione, nascita di un razzismo, forse meno violento, ma più sottile e diffuso che in altri paesi europei.

La nutrita partecipazione al Convegno di Cremona della SIAC degli antropologi che lavorano nell’universitàe negli enti pubblici del paese, ha permesso di suddividere affrontare i molti aspetti della questione, dividendo interventi e dibattiti in numerose sessioni, in modo da proporre non solo una riflessione teorica generale, ma anche argomenti specifici, come le forme di discriminazione nascoste nel linguaggio, nella vita quotidiana, nelle istituzioni (ospedali, scuole). Di particolare interesse è stata la riflessione sul razzismo nella stessa antropologia italiana durante (ma anche prima e dopo) il periodo fascista. Per lo più sotto la lenta d’ingrandimento è stato posto il fenomeno in Italia, anche se alcune sessioni hanno lavorato sul rapporto fra nazionalismo, processi identitari e razzismo in aree critiche, come nel caso dell’Ucraina, o dei Balcani, e su fenomeni di discriminazione “culturale”, come, ad esempio, in alcune aree dell’India, o del Senegal.

Fra i diversi ospiti stranieri ha preso parte ai lavori Marc Augé, la cui opera è largamente presente in Italia. Insieme a chi scrive, Augé ha presentato il testodi Ferdinando Fava, In Campo Aperto, testo dedicato alla figura e al lavoro dell’antropologo francese Gérard Althabe. Il titolo del libro già ne evidenzia gli interrogativi affrontati da Althabe. Come ha ricordato Augé nel suo intervento, la storia della relazione dell’etnologo con il suo campo è antica e da sempre complessa. Consapevole o meno, da sempre l’etnologo, qualunque sia il territorio della sua ricerca, si trova implicato nel mondo che studia. La ricerca mette sempre in moto un insieme di relazioni: alla domanda “Chi sono gli altri per me?”, si associasempre l’interrogativo: “Chi sono io per i miei interlocutori?” (“Qual è in questo momento il mio ruolo? Qual è la mia posizione storica e sociale?”).

Fra i primi in Francia è stato Sartre (alla cui opera Althabe si riconosce debitore) nella Critique de la RaisonDialectique a sottolineare come la ricerca antropologica debba sempre collocarsi nello spazio fra questi due interrogativi. Il modello di riferimento per Sartre era l’opera di Leiris: «La ricerca -scrive Sartre- è un rapporto vivente tra uomini ed è questo rapporto nella sua totalità che Leiris ha tentato di descrivere nel suo ammirabile libro L’Afrique fantôme». Come Augé ha sottolineato la nozione di implicazione ha attraversato tutta la storia dell’antropologia, benché, almeno fino agli anni Ottanta sia rimasta per lo più sottotraccia, nascosta dietro la pretesa di una antropologia come scienza oggettiva. Althabe può essere inscritto fra i pionieri di quella che sarà poi l’antropologia riflessiva, interpretativa, o dialogica, che dir si voglia. Fondamentale per Althabe era superare il modello dell’antropologia classica, ma non tanto per opporre ad esso un altro modello, quanto per riconoscere l’aspetto pratico del “fare antropologia”, l’aspetto concreto e non prevedibile dell’esperienza antropologica. Quando si fa ricerca -scrive nel suo studio Ferdinando Fava-bisogna mettere tra parentesi l’immagine astratta dell’antropologo come intellettuale esperto dei modi di vivere e pensare altrui, “sospendere” le precedenti certezze. Questo non vuol dire che all’antropologo non sia richiesta competenza teorica, ma è da questa competenza che deve poi scaturire la capacità di vivere politicamente le diverse situazioni, senza restare paralizzato nei propri e negli altrui pregiudizi. Da qui la definizione dell’antropologia di Gérard Althabe come “antropologia del presente”, un fare antropologia che non può prodursi che nella ricerca e nel dialogo che la rende viva.

Received: February 21, 2019; Accepted: April 27, 2019

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